Otto album in quasi vent’anni, un numero decisamente maggiore di installazioni e performance dove la sua arte videosonora si è trasformata in esperienza sensibile, un’innegabile lungimiranza nell’interpretare il rapporto fra arte e tecnologia hanno fatto di Ryoji Ikeda una delle figure più rappresentativa della scena musicale ed artistica contemporanea. Filosofia zen espressa attraverso il linguaggio delle macchine capace di superare il passare delle decadi e rimanere attuale anche grazie al costante interesse dimostrato dalle più importanti istituzioni artistiche del mondo come Tate Modern, Centre Pompidou, Hamburger Bahnhof, Ars Electronica e MoMA.
Il progetto ‘Supercodex' completa la trilogia inaugurata nel 2005 con ‘Dataplex’ e proseguita tre anni più tardi con ‘Test Pattern’, presentato dal vivo in Italia nel 2010 proprio a NODE: tre lavori in cui Ikeda ha confezionato i risultati di una complessa ricerca sul rapporto dualistico fra il suono digitale e la sua traduzione in forma di dati informatici. L’obiettivo prefisso dall’artista con questa trilogia – nato sui risultati di quel percorso di pulizia, riduzione ai minimi termini e scomposizione esteriorizzato nei capolavori ‘+/-‘ e ‘Matrix’ – è proprio l’elaborazione di una matematica del suono, di un principio di calcolo in grado di trasformare gli algoritmi in mezzi espressivi autentici, e al tempo stesso di elaborare rappresentazioni visive e sonore delle informazioni in essi contenute. Una dinamica concettuale espressa da sempre per mezzo, oltre che del suono, della componente visiva e performativa, sul quale il giapponese si è concentrato negli ultimi anni, commutando le sue performance in vere e proprie installazioni multimediali – su tutte quella presso la Times Square di New York, ed il progetto ‘Supersymmetry’, frutto della residenza al CERN nel 2014.
L'arte digitale che parla di se stessa porta a riflessioni che vanno ben al di là dell'autoreferenzialità che di primo impatto può stimolare a chi si avvicina all'opera di Ikeda. Il rapporto tra uomo e macchina è portato all'estremo attraverso una metodologia quasi microscopica dove l'attenzione per ogni minimo dettaglio porta a creazioni audiovisive capaci di un coinvolgimento inaspettato. Ed è proprio nella dimensione live, con le imprevedibili e avvenieristiche geometrie in altissima definizione in bianco e nero a fondersi con le austere e magnetiche sequenze di pattern sonori, che le sue ricerche si concretizzano al massimo. Ikeda riesce così a finalizzare, a livello sia estetico che strettamente sensoriale, quell’unione contingente tra dimensione visiva e uditiva capace di rivelare l’esistenza di un cuore pulsante fra calcoli e codici, ma anche l’essenza aritmetica e computazionale del suono.